Dell’alluminio non si butta via niente. È riutilizzabile al 100% e all’infinito, tanto che formalmente non si dovrebbe neppure parlare di materiale “riciclato”: meglio dire “secondario” dal momento che non modifica in alcun modo il suo aspetto come invece succede per la carta, il vetro o la plastica.
Questa sua proprietà è particolarmente preziosa in paesi che, come il nostro, non hanno miniere di bauxite (il minerale da cui l’alluminio deriva, come abbiamo visto qui).
In Italia, del resto, il recupero dell’alluminio è un’attività fortemente sviluppata ormai da molto tempo: seguendo una progressione straordinaria negli ultimi decenni, circa il 77% di tutto l’alluminio grezzo prodotto in Italia deriva da materiale recuperato e riciclato con andamento costantemente in crescita (fonte: CIAL).
Riciclare l’alluminio è conveniente dal punto di vista economico (costa il 95% in meno che produrlo) ed energetico (per produrre un chilo di alluminio servono 14 kwh, mentre per rigenerarlo solo 0,7). Ma la convenienza più importante è senza dubbio quella ambientale: a livello nazionale sono state evitate emissioni serra pari a 8 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno.
In Italia esistono opportuni Consorzi di filiera, nati con il Decreto Ronchi, che si occupano del recupero di differenti materiali. Per l’alluminio c’è il CIAL (Consorzio Imballaggi Alluminio, www.cial.it), che ha tra i propri compiti quello di garantire il recupero degli imballaggi in Alluminio provenienti dalla raccolta differenziata fatta dai Comuni.
L’alluminio riciclato entra nuovamente nei cicli industriali per la produzione di beni che possono essere “a ciclo chiuso”, ossia uguali a quelli recuperati – ad es. il profilo di una finestra – oppure “a ciclo aperto”, completamente differenti da quelli dismessi e riciclati.