
I ritardi nei pagamenti da parte degli enti pubblici – ma di fatto anche fra impresa e impresa – sono diventati in questi anni un vero e proprio incubo per i piccoli imprenditori: in particolare nel settore edile, già immerso in una situazione particolarmente difficile, questo è stato un fattore determinante nella chiusura di tante realtà.
La direttiva UE 2011/7 (scarica qui il pdf) recepita definitivamente in Italia lo scorso marzo rimette al centro delle priorità l’economia reale creando una serie di punti fermi e precisi. Vediamoli insieme.
Innanzi tutto, le Pubbliche Amministrazioni sono tenute a pagare le fatture dei fornitori in 30 giorni (60 giorni per le Asl), a meno che le due parti non si accordino in modo diverso. In ogni caso, le condizioni non devono essere chiaramente inique per il fornitore. Fra impresa e impresa, invece, il termine di pagamento è fissato universalmente a 60 giorni, sempre salvo accordi diversi e ritenuti equi.
Ma cosa succede in caso di ritardo? Semplice: per tutti scattano gli interessi legali per un tasso non inferiore all’8%. Un serio deterrente, che offre alle imprese una garanzia concreta, oltre alla possibilità di impugnare gli abusi. Ma soprattutto una totale trasparenza: ogni stato membro della UE è tenuto a pubblicare i tassi di interesse per i ritardi nei pagamenti, ed essendo le regole chiare e precise sarà molto più semplice stabilire se un accordo commerciale soddisfa i criteri. Per fare un esempio, non potranno esistere accordi fra le parti che escludano gli interessi in caso di mancato pagamento.
Per le Pubbliche Amministrazioni, tutto ciò è una piccola rivoluzione. Le autorità saranno obbligate a rivedere le procedure, armonizzando i propri flussi con le nuove regole: ritardare un pagamento sarà finanziariamente meno conveniente che rispettare i tempi.
Sotto questo profilo, la nuova direttiva è molto più efficace dell’insieme precedente di norme, e ha uno scopo molto più mirato: iniettare liquidità nelle casse delle imprese.
È presto per capire se questo impegno potrà dare tutti i frutti che si prefigge, ma di certo è un provvedimento che va nella giusta direzione. Soprattutto in paesi come il nostro, in cui il 95% dell’economia si basa proprio sulle aziende a cui la direttiva è dedicata.




